Decisioni circolari: perché il decision making deve evolvere insieme all’economia circolare

decisioni circolari

L’economia circolare è sempre più presente nel linguaggio delle aziende. Ma ridurre gli sprechi o usare materiali riciclati non basta per fare vera sostenibilità. C’è un aspetto, più silenzioso ma altrettanto decisivo, che spesso sfugge: il modo in cui prendiamo decisioni ogni giorno.

La circolarità infatti non riguarda solo i prodotti, ma anche le scelte aziendali in un senso più ampio. Ad esempio: nelle nostre attività di produzione e delivery, chi coinvolgiamo? Con quali criteri? Con che prospettiva di tempo?

La domanda che in questo momento storico è opportuno porsi è: possiamo davvero trasformare i nostri modelli produttivi se continuiamo a decidere in modo lineare?

L’economia circolare è entrata nel vocabolario di molte organizzazioni, ma spesso resta confinata a scelte materiali: nuovi imballaggi, riduzione degli sprechi, flotte più efficienti. Sono passi importanti, ma non bastano.

C’è un punto cieco della sostenibilità che ha a che fare con il modo in cui si guida un’organizzazione. Le decisioni non si prendono solo nei consigli di amministrazione o nei piani industriali. Si prendono ogni giorno: sui fornitori, nella riunione tra reparti, nella gestione di un feedback. Sono poi queste decisioni quotidiane, sommate tra loro, a esprimere e a costruire anche la cultura organizzativa.

Se continuiamo a decidere in modo lineare, per compartimenti stagni, senza visione d’insieme, anche le migliori intenzioni rischiano di restare sulla carta. Perché la vera economia circolare non è solo un nuovo modello produttivo: è un nuovo modo di pensare, progettare e scegliere.

In altre parole: se le scelte continuano a essere prese in modo isolato, ottimizzando i singoli passaggi senza una visione d’insieme, la transizione circolare rischia di restare sulla carta.

Ma capiamo prima cosa vuol dire “economia circolare” e come si realizza in pratica.

Economia e decision making circolare

L’economia circolare è un modello economico che punta a ridurre al minimo gli sprechi, valorizzando il riutilizzo, il riciclo e la rigenerazione dei materiali lungo tutto il ciclo di vita di un prodotto. A differenza dell’economia lineare, che segue lo schema “produci, usa, getta”, quella circolare propone una logica sistemica in cui ogni scarto può diventare una risorsa.
È un approccio che richiede il ripensamento del design, delle filiere produttive e dei comportamenti di consumo, con l’obiettivo di creare valore economico rigenerando capitale ambientale, sociale e industriale.

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Il valore che creano le organizzazioni non dipende soltanto dagli aspetti tangibili, ma anche da quelli intangibili come la cultura organizzativa, la capacità di innovare e creare qualcosa di nuovo, l’abilità di imparare e far uso di strumenti e modalità di collaborazione sempre aggiornati. In questo contesto  anche il concetto di economia circolare non riguarda solo ciò che è fisico o tangibile. Riguarda infatti la capacità di far circolare la conoscenza, l’esperienza, le competenze: tutte quelle risorse intangibili che, se condivise e connesse, generano innovazione e resilienza dell’organizzazione.

Per decidere in modo circolare, serve un processo che metta in relazione tutto il sistema.

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Le 6 dimensioni del decision making circolare

Prendere decisioni in modo circolare non significa seguire una sequenza predefinita di passi, ma saper attivare e connettere una serie di dimensioni chiave che rendono le scelte più consapevoli, coerenti e sistemiche. Ogni dimensione rappresenta un angolo di visuale, una leva progettuale, una pratica organizzativa. Insieme, formano un ecosistema che guida le organizzazioni verso una gestione più rigenerativa e lungimirante.

 

1. Analisi della catena di valore

Analizzare la catena di valore significa capire cosa accade lungo tutto il ciclo di vita di un prodotto o servizio, superando la visione frammentata dei singoli reparti. Significa mappare processi, interazioni, risorse e criticità con uno sguardo sistemico, che va oltre il “qui e ora”.
Non è solo un esercizio tecnico: è un atto di responsabilità. L’assenza di controllo sulla propria catena di fornitura può avere impatti reputazionali, ambientali e sociali enormi, come dimostra il caso recente di Loro Piana, finita sotto accusa per non aver verificato adeguatamente la filiera da cui provenivano alcune materie prime.
In un’economia circolare, non sapere da dove arriva o dove va a finire ciò che produciamo non è più ammissibile.

 

2. Ascolto degli stakeholder

Integrare voci diverse nel processo decisionale: persone interne, clienti, fornitori, partner, territori. L’ascolto consente di cogliere bisogni latenti, punti di vista non ovvi e potenziali rischi/opportunità. Non si tratta solo di “consultare”, ma di costruire alleanze attive. Un esempio? Un’azienda cliente di LIITO ha avviato una collaborazione con il Comune del piccolo paese in cui ha sede, per sviluppare una strategia congiunta di attrazione di persone e talenti sul territorio. Entrambi avevano lo stesso obiettivo: far arrivare nuova energia e competenze. Invece di agire separatamente, hanno unito forze, risorse e visione.
Il risultato è stato un piano condiviso che ha portato valore sia all’impresa sia alla comunità locale: un vero caso di sostenibilità generativa, abilitata dall’ascolto e dal dialogo. 

Anche il quadro normativo europeo — oggi in evoluzione con l’Omnibus Directive che sta ridefinendo tempi e modalità di applicazione della CSRD — spinge in questa direzione: riconoscere la centralità degli stakeholder attraverso il principio della doppia materialità. Un approccio che non si limita a chiedere trasparenza, ma aiuta le imprese a orientarsi meglio nel cambiamento, proteggendo la loro capacità di generare valore condiviso nel tempo.

 

3. Valutazione d’impatto

Troppo spesso le decisioni vengono prese con un unico metro: il ritorno economico immediato. Ma ogni scelta ha impatti ambientali, sociali e reputazionali, e può generare effetti differenti all’interno delle diverse strutture dell’organizzazione. Integrare indicatori ESG e metriche di ciclo di vita aiuta a vedere meglio le conseguenze nel tempo. 

Misurare gli effetti delle dimensioni ESG non è un’attività accessoria, ma un investimento strategico. Significa costruire le strutture adeguate, dotarsi degli strumenti giusti, formare le persone e stabilire quali siano le metriche fondamentali da seguire, in base al settore e alle caratteristiche dell’impresa.
Vale la pena dedicare tempo alla definizione di cosa misurare, perché è proprio da lì che passa la capacità dell’organizzazione di orientarsi, prendere decisioni migliori e generare valore nel tempo. E questo richiede anche una ownership chiara: assegnare a una o più figure il presidio di questo processo e concepirlo non come un esercizio una tantum, ma come una pratica continua e integrata nella governance aziendale.

 

4. Progettazione e attuazione coerente

Decidere in modo circolare significa anche saper trasformare visione e obiettivi in azioni concrete, che generino coerenza lungo tutto il ciclo di vita del prodotto o del servizio: dalla progettazione alla produzione, fino al riutilizzo o al fine vita.

Ma non basta pianificare. Un action plan coerente richiede anche la capacità di guardare avanti, immaginando scenari futuri che possono evolvere in modo diverso da quanto previsto.
La sostenibilità è anche resilienza, cioè capacità di preparare l’organizzazione a rispondere a condizioni di mercato, ambientali o normative in continuo cambiamento. I nuovi standard ESG, le aspettative dei consumatori, le evoluzioni tecnologiche o i rischi geopolitici possono modificare il contesto in tempi rapidi.

Proprio per questo è importante costruire piani d’azione flessibili, che prevedano più scenari e non si limitino a ottimizzare l’esistente.

 

5. Comunicazione e collaborazione trasversale

Nessuna decisione è veramente circolare se non viene compresa e implementata in modo condiviso. Spesso, nella comunicazione ESG, l’attenzione è rivolta all’esterno, — verso investitori, clienti o stakeholder istituzionali. Ma è la comunicazione interna, il coinvolgimento della popolazione aziendale, a rappresentare la vera forza propulsiva per rendere la sostenibilità un motore di cambiamento organizzativo.

Il walk the talk è fondamentale: dichiarare valori, codici etici o impegni pubblici che non vengono calati nella pratica quotidiana può rivelarsi non solo inefficace, ma controproducente. Genera disillusione, cinismo, resistenze.

Per questo servono processi di comunicazione chiari, coerenti, distribuiti tra le funzioni. In un progetto industriale in cui abbiamo lavorato, il semplice cambio di un materiale ha richiesto il coordinamento tra R&D, acquisti, produzione e marketing: un lavoro di integrazione continua per mantenere la coerenza tra scelta tecnica, racconto al mercato e impatti operativi.

La sostenibilità vive nei dettagli, ma si realizza nelle relazioni.

 

6. Feedback e apprendimento continuo

Ogni decisione genera apprendimento, ma perché questo diventi un vero patrimonio per l’organizzazione serve un sistema capace di raccoglierlo, condividerlo e farne leva per le decisioni future.

Una learning organization, secondo Nonaka e Takeuchi, è un’organizzazione in cui le conoscenze implicite (tacite) vengono costantemente trasformate in conoscenze esplicite e condivise. Questo processo di scambio e codifica della conoscenza è ciò che rende l’apprendimento davvero circolare e generativo.

Essere una learning organization significa creare spazi e strumenti per riflettere su ciò che funziona e ciò che non funziona, per imparare insieme.

L’apprendimento, in una logica circolare, non è il punto di arrivo ma l’inizio del ciclo successivo per prendere delle decisioni sostenibili nell’andare del tempo.

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Decidere in modo circolare significa allenare uno sguardo capace di attraversare la complessità. Significa avere strumenti e dati per leggere gli impatti nel tempo, ma anche il coraggio di farsi nuove domande.

Serve:

  • pensiero sistemico, per leggere connessioni e conseguenze;
  • KPI non solo economici, ma anche ambientali e sociali;
  • strumenti tecnici, come l’analisi del ciclo di vita (LCA), il design for disassembly, la contabilità ambientale.

E, soprattutto, serve un cambio di mentalità: passare dalla logica della prestazione immediata a quella del valore duraturo e rigenerativo.

Dal mio punto di osservazione come Executive Business Coach in Performant e Managing Partner in LIITO, vedo ogni giorno aziende che iniziano a trasformarsi. Molte partono dal prodotto, dal packaging, dal bilancio. Ed è un buon inizio.
Ma il vero salto di qualità avviene quando si cambia il modo di pensare e di decidere.

La domanda chiave, a questo punto, non è più “cosa possiamo fare per essere sostenibili”, ma “come possiamo decidere in modo più coerente, condiviso e lungimirante?”

Vuoi capire dove si nascondono i punti ciechi nelle tue decisioni aziendali?

Possiamo accompagnarti a esplorare gli snodi critici per generare nuovo valore.

Contattaci: il cambiamento parte da una decisione. Anche questa.

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