Cambiamento climatico in Europa: un campanello d’allarme per le imprese italiane
Dal nuovo rapporto Copernicus-WMO emergono rischi crescenti per il nostro Paese e di conseguenza anche per chi fa impresa. Ecco i dati da conoscere e le azioni da intraprendere per essere meglio preparati a ciò che verrà.
Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato in Europa e il primo in cui la temperatura media globale ha superato, seppur su base annuale, la soglia critica di 1,5°C rispetto all’era preindustriale. L’Italia non è un’eccezione, ma anzi è tra i Paesi più esposti ai nuovi rischi climatici. È quanto emerge dall’ultimo report European State of the Climate 2024, pubblicato dal Copernicus Climate Change Service e dalla World Meteorological Organization.
Tra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, l’Italia figura tra i più vulnerabili agli effetti della crisi climatica. Da un’analisi di Greenpeace Italia del novembre 2024, limitandosi agli eventi meteorologici e idrogeologici estremi,risulta che ben il 93,9% dei comuni italiani include aree soggette a rischio di dissesto idrogeologico.
Questo dato si riferisce alla percentuale dei comuni sul totale nazionale. Se invece si considera la superficie territoriale a maggiore pericolosità per frane e alluvioni, si arriva al 18,4% del territorio italiano. In termini di popolazione, si tratta di 1,3 milioni di persone esposte a rischio frane e 6,2 milioni a rischio alluvioni: oltre il 12% della popolazione nazionale.
INONDAZIONI, SICCICITA’, TEMPERATURE MASSACRANTI
Quali rischi per l’Italia e per le imprese?
- Aumento di eventi estremi:
Nel 2024, l’Europa ha vissuto episodi di inondazioni più estesi degli ultimi undici anni, con piogge intense e allagamenti che hanno colpito vaste aree in numerosi Paesi, superando per ampiezza e impatto tutti gli eventi simili verificatisi dal 2013 a oggi.
L’Italia è stata tra i Paesi colpiti da Storm Boris, che ha causato precipitazioni eccezionali e allagamenti su vaste porzioni del territorio.Le conseguenze per le imprese? Danni alle infrastrutture, interruzioni operative, blocchi nelle catene di fornitura.
Il prezzo da pagare si misura non solo in vite umane, ma anche in miliardi di euro.
Dal rapporto di Greenpeace sul costo della crisi climatica emerge che tra il 2013 e il 2020, le Regioni italiane hanno segnalato 22,6 miliardi di euro di danni causati da frane e alluvioni, con una media annuale di circa 2,8 miliardi. La Regione più colpita è stata l’Emilia-Romagna (2,5 miliardi, pari all’11,1% del totale), seguita da Veneto, Campania, Toscana e Liguria.
- Siccità e scarsità d’acqua:
L’area del Mediterraneo, Italia inclusa, ha registrato in estate una significativa carenza di risorse idriche. Le imprese agricole e manifatturiere, che dipendono fortemente dall’utilizzo dell’acqua, sono tra le più colpite.
- Ondata di calore prolungate:
In Europa sudorientale, si è registrata la più lunga ondata di calore mai osservata, con temperature percepite ben oltre i 38°C. Anche in Italia, le notti tropicali (in cui la temperatura non scende sotto i 20°C) sono in forte aumento. Queste condizioni influiscono negativamente sulla salute dei lavoratori, sulla produttività aziendale e sull’efficienza energetica degli impianti e anche in modo severo sia sulla produzone agricola sia sugli allevamenti.
L’IMPATTO SULLE AZIENDE
Perché questo riguarda tutte le imprese, non solo quelle “green”.
Il cambiamento climatico è ormai un rischio trasversale. Non si tratta solo di “ambiente”, ma di continuità operativa, gestione del rischio, resilienza organizzativa. Le imprese italiane devono interrogarsi su come:
- proteggere le infrastrutture fisiche;
- rivedere le strategie logistiche e di approvvigionamento;
- valutare i rischi finanziari legati agli eventi climatici estremi;
- integrare criteri climatici nella governance e nella pianificazione strategica;
- considerare l’impatto del caldo estremo su tutte le materie prime vegetali ed animali
- valutare gli effetti sulle risorse umane, in particolare nei settori dove il lavoro si svolge all’aperto o in ambienti non climatizzati: l’aumento delle temperature comporta la riduzione delle ore lavorabili, con effetti diretti sulla produttività aziendale e sull’organizzazione dei turni.
Gli eventi estremi legati alla crisi climatica continuano a causare gravi perdite, sia in termini di vite umane sia sul piano economico.
Fonte: Elaborazione GreenPeace Italia sui dati di Protezione Civile
Tuttavia, vengono ancora trattati come fenomeni “straordinari”, privi di una strategia strutturale e preventiva. In pratica, ogni alluvione o frana viene gestita come se fosse un caso isolato, anziché parte di una tendenza consolidata.
A dimostrazione di ciò, basti osservare i numeri: nel periodo 2013-2019 a fronte di un totale di 20,3 miliardi di euro stimati in danni da alluvioni e frane, l’Italia ha destinato appena 2,4 miliardi per i risarcimenti e 2,1 miliardi per la prevenzione. In sostanza, meno di un decimo dei danni è stato investito in azioni preventive.
COSA POSSONO FARE LE AZIENDE?
Come interpretare i dati sul cambiamento climatico in Europa e in Italia, e soprattutto capire cosa significano per chi fa impresa oggi?
“Non è più il tempo della reazione, ma della preparazione.”
Lo afferma Anja Puntari, founder e managing partner di LIITO, che sintetizza così le azioni chiave per le imprese:
“È necessario avviare un’analisi di vulnerabilità climatica dell’organizzazione, ovvero comprendere quali asset aziendali sono più a rischio. Questo dipende in gran parte dal settore e dalla collocazione geografica.
Per esempio, il settore manifatturiero deve tenere in considerazione la sicurezza e la continuità della produzione, così come gli aspetti logistici legati al trasporto merci, che nei periodi ad alto rischio – come in caso di alluvioni – possono essere messi seriamente in discussione.
Se l’organizzazione utilizza acqua nei propri processi produttivi, diventa strategica la scelta della localizzazione, dei periodi produttivi, così come delle infrastrutture necessarie per garantire autonomia anche durante le fasi di siccità.
Per farlo serve una vera e propria pianificazione adattiva, ovvero la capacità di prevedere scenari futuri alternativi e predisporre risposte adeguate a seconda dell’evoluzione. Gli eventi climatici estremi sono sempre più frequenti, ma non seguono un ritmo regolare: non si ripresentano ogni anno allo stesso modo.
Un altro tema cruciale è la gestione della catena di fornitura, che può subire ritardi o aumenti di costo legati alla minore reperibilità di materie prime o prodotti specifici.
Infine, è fondamentale rafforzare la raccolta e la rendicontazione dei dati ESG, con particolare attenzione ai rischi climatici. Il nuovo standard europeo impone una valutazione esplicita di tali rischi, ma la normativa che entrerà in vigore nell’autunno 2025 – approvata dal Parlamento Europeo lo scorso febbraio – concede alle aziende una certa autonomia nel decidere dove concentrare i propri sforzi di monitoraggio.
Stabilire quali dati siano davvero utili, come gestirli e trasformarli in un patrimonio aziendale è una scelta strategica che merita attenzione.”
Il cambiamento climatico non è più un rischio futuro: è una realtà già in corso.
I dati del report ESOTC 2024 rappresentano un chiaro campanello d’allarme per tutte le imprese italiane.
Ignorarli oggi significa esporsi a impatti economici, organizzativi e reputazionali domani.
Per affrontarli servono consapevolezza, metodo e un cambio di prospettiva.